Black lives matter Le vite dei neri contano

A Boston, un prelato cattolico stava viaggiando in macchina lungo una strada alla periferia della città. Vedendo un ragazzo nero che camminava faticosamente il prelato dice all’autista di fermarsi e fa salire il ragazzo. Accomodatasi entrambi sul sedile posteriore, il prelato, per avviare la conversazione chiese al ragazzo: «Sei cattolico?» Il ragazzo replica: «No, signore, sono già abbastanza disgraziato a essere nero, senza doverne sopportare altre».  Le continue azioni discriminatorie verso certe etnie sono così forti che incutono nelle persone, paura e confusione; tali discriminazioni assumono rilievo all’interno delle attività politiche, sociali o culturali e tendono alla ghettizzazione di gruppi o di individui per la loro diversità rispetto a modelli delle maggioranze avvertite come “normali”.

La nostra incompetenza in campo sociale neutralizza ogni volta i progressi che facciamo della nostra conoscenza del mondo fisico e degli altri “diversi” da noi. È del tutto evidente che l’apparire “uguali” nella realtà dei fatti raramente diviene essere “uguali”. Possiamo relazionarci con l’altro con l’intenzione di riconoscerlo come uguale a noi e rispettarlo come tale, ma a volte alcuni fatti contrastano le nostre manifestazioni di apprezzamento e di riconoscimento. 

Dopo la morte di George Floyd, assassinato il 25 maggio 2020, lo shock ha scatenando proteste in tutto il mondo, richiamando l’attenzione delle autorità. Il municipio di Washington ha scelto di cambiare nome alla via, chiara volontà di esprimere vicinanza alle proteste contro gli abusi di alcuni membri della polizia. Ha scritto inoltre nella via Black Lives Matter: “Le vite dei neri contano”. Un riconoscimento di rispetto per la popolazione di colore. 

Il reverendo Al Sharpton ha espresso parole molto significative per onorare la vittima durante la cerimonia funebre: “La storia di George Floyd è la storia dei neri. Da quattrocento anni in qua, la ragione per cui non abbiamo potuto essere chi avremmo voluto e sognato è stata che voi ci avete tenuto il vostro ginocchio sul nostro collo. È tempo che noi ci alziamo in piedi. Togliete il vostro ginocchio dal nostro collo!”. 

Le discriminazioni accentuano le condizioni di inferiorità di un gruppo minoritario e scatenano conflitti, marcati dalle differenze sociali e dallo status, politico, sociale, economico, dalle caratteristiche somatiche, dal colore della pelle, associati anche ai loro cognomi. I discriminatori sono nati dalla parte giusta, e sono quindi facilitati da vari fattori che rendono la loro crescita coerente e soddisfacente; sembra invece che il povero, nato dalla parte sbagliata, abbia la colpa di essere povero. No, non è una colpa. 

Le separazioni e le divisioni sociali suscitano sempre nelle minoranze paure, segregazione, ghettizzazione. La giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione, il 21 marzo 1960, in Sudafrica, ricorda il massacro a Sharpeville da parte della polizia di un gruppo di dimostranti di colore in cui vennero uccisi 69 cittadini di colore, ferendone 180. 

Discriminare qualcuno significa inoltre dividere il mondo e rinunciare alla convivenza e alla condivisione fra cittadini accettando le diversità, ovvero “uguali ma diversi”: quella diversità che va rispettata come tale, riconoscendo al diverso, dignità e particolarità. Le separazioni e le divisioni sociali suscitano sempre nelle minoranze paura, segregazione, ghettizzazione. Dal Report dell’ONU: La discriminazione e l’intolleranza sono state alla base dei passaggi più dolorosi nella storia dell’umanità e ancora oggi sono il pretesto delle più gravi violazioni dei diritti umani. Essi sono il principale impedimento nell’evoluzione regolare dell’umanità verso la pace e lo sviluppo.

Elva Collao

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