La città nella quale si parlavano idiomi diversi: «Che da Buenos Aires, Buone Aire, Baire ha Gotán»

“Ho l’impressione che, prima ancora che il Tango nascesse, i genovesi, i liguri, pensassero già in “tangesse”1. «E non c’è dubbio che, tra queste, l’immensa distesa di mare che dal porto di Genova porta a Buenos Aires sia stata la più trafficata». Dalla payada dall’habanera, assieme al danzón cubano, dal contrappunto alla milonga, e tra il candombé chiamato tambo, nacque il tango: ossia il Gotán.

L’immigrazione verso l’Argentina ha prodotto i suoi risultati molto caratteristici, soprattutto a Belgrano, barrio, cioè quartiere, di Buenos Aires. Un quartiere che è il risultato del crogiuolo etnico-linguistico di diverse influenze: tedesca, inglese, spagnola. Un quartiere dove vissero molti emigrati giunti dall’Europa, dove, a causa delle diverse interazioni, nacque la loro lingua tuttora parlata: Belgranodeusch, risultato della lingua parlata a Belgrano e dell’influenza migratoria dei tedeschi, agli inizi XX, che riproducono di più le «locuzioni» del tedesco con l’incorporazione di alcuni sostantivi, aggettivi o verbi rimpiazzati dallo spagnolo o dalle espressioni del dialetto argentino. 

Ormai già dal 1880, e poi con l’inizio della prima guerra mondiale2, moltissimi italiani partivano dal Settentrione, incidendo fortemente nelle comunicazioni fra immigrati e autoctoni argentini. Inizialmente ebbero l’influenza dalla lingua francese, poi le altre influenze linguistiche trasformarono la «città nella Babele di lingue diverse», creando una nuova forma di espressione, un miscuglio tra l’italiano e i dialetti della penisola, cioè, il genovese assieme al piemontese e al napoletano, e il «Cocoliche», risultato dal «pidgin» italo-spagnolo, parlato dagli immigranti italiani, motivo per cui nacquero le parole “Buone Aire”, Baire ecc. Influirono inoltre anche altre lingue, come l’inglese, il portoghese, il guaranì, il quechua. Invece il “Cocoliche” includeva le espressioni e vocaboli del più vecchio «cocoloche», ossia una lingua risultante dall’integrazione tra lo spagnolo e i dialetti argentini. 

Il «lunfardo», diverso dagli altri dialetti prodotti da lombardi, piemontesi, genovesi e francesi,  testimonia il diffondersi, pian piano, di una nuova lingua con la quale comunicavano gli arrivati che si inserivano nel contesto argentino, così producendo un crogiuolo di diversi elementi, tradizioni, etnie, culture; ricordi dei vecchi linguaggi italiani che resero anche originali le espressioni presenti nelle canzoni; le storie di esperienze di vita, sentimenti, passioni, ci raccontavano soprattutto il dramma della loro migrazione, la tristezza ma anche la felicità, passando dalle «illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato», e soprattutto l’immaginazione degli affetti, creduti e a volte persi, e il desiderio del ritorno per alcuni, e per molti altri la nostalgia di non poter tornare più. 

La fondamentale condizione dell’immigrato fu la contraddizione temporale che albergava in tutti, imprimendo su di essi un marchio culturale e temporale. Spinta «tra due tempi», «tra due paesi», «tra due condizioni», un’intera comunità andava e veniva a vivere ed era quasi sempre «in transito», creando in sé la «doppia assenza»3.

Alcuni storici ritengono che fu l’interazione quotidiana prodotta fra le etnie autoctone e quelle immigrate, che via via si insediarono nel territorio, a dar vita a una nuova lingua comune necessaria per comunicare, raccontare, dando così inizio a una nuova vita. Sorgono le lingue miste, prodotte dal mix tra lingua del posto e lingua d’origine e sfocianti in «un castellano sgrammaticato che qualcuno si sforzava di parlare». Originariamente fu «l’argot», utilizzato a Buenos Aires e a Montevideo, entrambe città del Rio della Plata. Buenos Aires è considerata la «Regina della Plata» o la «Parigi del Sudamerica». Citta più popolosa del Paese, è nota anche con l’abbreviativo di «Baires». Il termine, utilizzato in modo colloquiale, ad esempio nel tango, è chiamato «Lunfa», e le sue origini furono quelle di un «argot»4 in spagnolo, «slang»5 in inglese, o «verlan» in francese: essi nacquero decodificando i messaggi scambiati in modo colloquiale e furono soprattutto usati dalla gente comune e nell’«hinterland», per non far comprendere dette comunicazioni agli altri gruppi.

In questo contesto si configura una particolare forma di parlare «invertendo le sillabe» di una parola: il «verse», ossia invertito (revés in spagnolo). Ecco che l’inversione delle parole “Tango” risulta “Gotán”; l’inversione della parola “amico” (amigo in spagnolo), “gomía”, testa (cabeza in spagnolo), “zabeca”; pantalone (pantalón in spagnolo), “lompa”, che è una forma abbreviata. Lo scrittore Jorge Luis Borges qualifica lo «slang» come un modo pittoresco di parlare, senza valore autentico; è un «argot», uno scherzo letterario, inventato per compositori di tango. Appunto il «tango» pare sia nato nel 1888: si tratta di una parola riferita a un tipo di grancasse portato dagli afro-discendenti, cui presto si unirono gli schiavi liberati, gli argentini provenienti dalle pampas, le zone periferiche, ossia i quartieri detti «Orilla»6, ossia periferie delle città. 

Agli inizi ci fu la “Payada” (payador)7, che al suono della musica meticcia si evolve, che passo a passo si unisce all’habanera, danza spagnola diffusasi in Cuba, portata dai marinai alle sponde del Rio della Plata. Nelle sale si forma e si trasforma, si arricchisce e si professionalizza, inglobando il «contrappunto»8 e trasformandosi in «milonga», ballo che ha un andamento caratteristico e insolito. In esso infatti vengono combinati sentimenti e musica: nella camminata, l’uomo avanza a passi misurati e quasi studiati, mentre la donna va indietro. Evolvendosi, si aggiunge il «candombe», la danza caratteristica dai neri schiavi arrivati a Rio, che vivevano in un «borgo vecchio, nelle periferie». Tutti questi ingredienti si fusero in tango ballo libero e crearono diverse figure nel corso del ballo: passi avanti, altri passi indietro. Tutte figure composte con infinita armonia, e con l’aggiunta di brevi passi che si ricompongono assieme a un lento giro in senso antiorario, così facendo si plasmarono le figure che si susseguono, in una scena meravigliosa e fantastica. Questo è il tango, ovvero «Gotán»

  1.  Giorgio Calabrese. Autore e scrittore.
  2. Oscar Conde. Scrittore argentino, studioso della lingua Lunfardo.
  3. A. Sayad, La doppia assenza, 2002, p. 82.
  4. Gergo, in spagnolo.
  5. Gergo, in inglese.
  6. Periferia.
  7. Campesino di Castiglia e Catalogna (Spagna).
  8. Gavino Ezeiza introduce il contrappunto.

Elva Collao

Torna in alto