La Comunicazione digitale unisce i giovani, anche se non parlano la stessa lingua

La comunicazione dei ragazzi a livello globale non è accomunata dal parlare la stessa lingua, non ci sono i denominatori comuni, eppure quasi tutti sanno fare una cosa, utilizzare la Rete e i Videogiochi. Tutte le loro attività sono svolte senza avere una conoscenza Informatica e senza aver letto un manuale. Essi imparano le regole senza guida, ovvero imparano nel medesimo ambiente del passatempo, «per tentativi ed errori». Si tratta di un linguaggio volto alla comunicazione che Seymour Papert ha chiamato «Ali per la mente». Si tratta dello studioso creatore di «LOGO»1 del MIT di Boston, sostenendo che «nell’ambiente digitale l’errore è concesso e non viene punito»; aggiungendo che «chi non sbaglia non impara». Sbagliare significa esplorare, poiché il bambino davanti a un errore tende a rimuoverlo e a dimenticare.

Nell’utilizzo delle informazioni nella rete, i ragazzi sono in continua ricerca delle “novità” nel web; questo comporta la diminuzione della quantità relazionale, interagendo di più con i dispositivi offerti per la navigazione in rete, diminuendo il discernimento analitico, il linguaggio, e di conseguenza la comunicazione orale-scritta; in questo modo vengono a trovarsi in una condizione di disagio, che produce solitudini amicali e cattive relazioni familiari e di contesto. Il motore dell’Europa della conoscenza, con la speranza di un’Europa più unita attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, ha concepito la rete come un bene per l’insegnamento, nell’apprendimento interattivo, incentivando gli studenti all’apprendimento permanente, permettendo di esprimersi attraverso le trasformazioni inevitabili, riguardanti il sapere e la conoscenza. 

Lo scopo positivo ha portato con sé delle controversie di vari tipi; partendo dalle istituzioni, pensiamo alle famiglie e ai ragazzi che hanno difficoltà ad esprimersi nella medesima lingua; pensiamo alla scelta, per comunicare, di altri segni e significati: «gif», «bit moji», o altre immagini che esprimono una risposta, sostituendo i segni al linguaggio, segni che hanno un significato per l’interlocutore, diminuendo così la ricchezza espressiva del linguaggio e creando povertà  «lessicale» parlata e scritta, riducendo le parole e i concetti necessari per esprimersi adeguatamente. Inoltre, il tipo di comunicazione per immagini supera le distanze linguistiche, soprattutto per chi non è madrelingua. Alcuni ragazzi hanno una scarsa capacità di lettura; è quindi imperativo invertire il trend negativo in materia di capacità di lettura, che dipende di vari fattori: lettura in famiglia, lingua parlata in casa, impatto di una cultura multimediale basata sull’immagine ed espressa sui social media.

Uno dei primi esempi di videogiochi utilizzati in campo didattico negli Stati Uniti è stato « Kid Talk»2, del 1986, con lo scopo di insegnare la lingua inglese, attraverso un programma per apprendere come si legge e come si scrive.

Dalle statistiche realizzate osserviamo che è lo smartphone lo strumento più diffuso nelle interazioni tra i ragazzi, il 97% dei quali lo utilizza quotidianamente per le diverse attività online. La percentuale scende al 51% nella fascia d’età tra i 9 e i 10 anni. Le attività online più diffuse sono quelle relative alla comunicazione e all’intrattenimento: il 77% dei ragazzi di 9-17 anni usa internet tutti i giorni per comunicare con amici e familiari, poco più della metà guarda video online e visita quotidianamente il proprio profilo sui social media. Il 37% usa internet quotidianamente per fare i compiti a casa.3

“Viviamo nell’era digitale, è un dato di fatto, e gli schermi sono ovunque: in ufficio, a scuola, a casa, nelle nostre tasche. Per dovere o per svago, gli occhi tornano sempre lì. Specie quelli dei più giovani, visto che lo usano come principale – se non unico – canale di intrattenimento”.4 

Il monitorare le connessioni diventa indispensabile, affinché siano positive, vantaggiose, tecnologicamente fruibili e socialmente diffuse, divenendo indispensabili per accorciare le disuguaglianze di comunicazione e interazione, con l’utilizzo del linguaggio per raggiungere conoscenza e apprendimento, con particolare attenzione ai ragazzi che non hanno la padronanza della lingua. Nelle interazioni virtuali, là dove manca il volto della dimensione «para verbale» e «quella metabervale»5 del discorso, si ricorre a elementi di variegate forme iconiche nel mondo virtuale e in riferimento ai nuovi linguaggi, come ad esempio le immagini computazionali, «emotion», il «selfie», che sembrano facilitare la comunicazione in tempo breve; ci sono altri simboli come i «gif», o semplicemente con la «@» inclusa nella strutture delle parole, ecc., che sembrano facilitare la comunicazione «cross-culturale»6, «rivelandosi una comunicazione come una nuova sfida», con simboli e immagini che sostituiscono le parole e accorciano le frasi e il tempo della comunicazione, avvalendosi dalla scrittura dei segni dei social network, cambiando in questo modo lo scrivere adeguatamente soprattutto fra i giovani».7 

Perciò i simboli e le immagini sono divenuti elementi focali per la comprensione della realtà dei ragazzi e anche di una parte degli adulti, che nei rapporti e nelle comunicazioni globalizzati ha coinvolti quasi tutti. Ma purtroppo in questo modo si sta modificando la comunicazione formale, sia nel linguaggio che nei contenuti, ed è una problematica di cui tenere conto.

  1.  Strumento per insegnare programmazione ai bambini, introducendo il concetto di «pensiero computazionale» (1996), nonché l’utilizzo del computer e la programmazione (coding) come ambiente per «Imparare a Imparare».
  2. Kid Talk, ossia parlare con i bambini (1986).
  3.  Avvenire.it: Scuola e web. “Ragazzi sempre più connessi. Ma attenzione ai rischi”.
  4. Michel Desmurget, autore del libro “Il Cretino digitale”.
  5. Verbale, cioè costituita dall intonazione della voce, timbro, velocità con cui parliamo. Metabervale, cioè la posizione del corpo, la gestualità delle mani, la mimica, ecc.
  6. Comunicazioni tra culture differenti.
  7.  Avvenire. Rif. Paolo Ferraro (2018).

Elva Collao

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